Censura: NON DIRE C@n@p@!!!Come vengono bloccate l’informazione libera e l’autodeterminazione
- Iacopo Grandi
- 15 mar
- Tempo di lettura: 3 min

Ciao, benvenuto a TeleCanapa.
In questo articolo vogliamo parlare della censura che viene applicata su tutti i fronti quando l’argomento è la Cannabis.
Che si stia parlando di materiale edile, edibile, medicinale o ricreativo, se nella nostra ricerca includiamo la parola “canapa” ogni algoritmo di ricerca attiva un protocollo di occultamento di informazioni utili, andando spesso a proporre “alternative sponsorizzate”.
Già con una prima semplice ricerca ci rendiamo conto di che aria tiri e ci sentiamo quasi inibiti ad andare oltre, ma siamo curiosi ed andiamo avanti.
Quando si va a cercare se con la pianta di cannabis si potesse ottenere un materiale edile resistente, la risposta non arriva in italiano se non da aziende private che cercano di proporre un prodotto alternativo, mentre i più “cliccati” siti di informazione fanno scena muta…
Una ricerca sulle fonti di Omega 3 e 6, indispensabili al corpo umano, non andrà neanche lontanamente ad accennare ai semi di canapa come una delle più grandi fonti di acidi grassi e proteine vegane che da millenni sostentano la specie umana anche lontano da abbondanti fonti di pesce.
Se andiamo poi a cercare una lista di malattie a livello digestivo o del sistema nervoso troveremo una quantità di medicine sintetiche pressoché illimitata, ma ricercando se una specifica malattia di questa lista cercassimo di associare la parola “cannabis”, la lista di effetti benefici comprovati da medici di tutto il mondo in maniera privata potrebbe sconcertarti.
Come mai non possiamo dire “Cannabis”?
Perché non possiamo informarci in modo diretto su una pianta che può crescere ovunque ed aiutare la specie umana ed il suo ambiente in una varietà di campi così vasta?
Cosa comporterebbe uno status della marijuana pari a quello del “pomodoro”, o almeno del “luppolo”, suo antico antenato?
Come diceva la studentessa di Perugia “…il lavoro è stato strutturato attraverso un sondaggio tra oltre 245 aziende del settore alimentare, tessile ed edilizio. «Almeno l’80% delle attività hanno riscontrato problemi a livello social, ad esempio: si può venire oscurati o addirittura eliminati definitivamente se si violano le regole dell’algoritmo. Queste regole includono l’utilizzo di parole come: THC, cannabis, weed, canapa, ma anche CBD e “terpeni” sono tabù sulla maggior parte delle piattaforme social o di ricerca. Alcune realtà si sono viste chiudere da un giorno all’altro addirittura l’e-commerce che costituisce un notevole investimento.»…”.
Eppure una ricerca su come produrre birra o distillare prodotti alcolici darà risultati ampiamente soddisfacenti ad aprire un birrificio artigianale, mentre tutto ciò che riguarda l’estrazione di cannabidiolo in qualsiasi forma oscurato dal web.
Che sia perché i prodotti alcolici sono già ampiamente regolamentati e tassati? O magari i prodotti alcolici sono comprovatamene più salutari?
Una breve ricerca sembrerebbe suggerire il contrario…
Mentre le morti per alcool superano le 100.000 all’anno, solo negli Stati Uniti, quelle per overdose di cannabis ancora ammontano a: 0, e questo in un paese dove la cannabis è totalmente legale in più della metà degli stati.
Su quali basi un movimento politico, ad esempio quello italiano della Lega Nord, cerca di vietare addirittura qualsiasi immagine che possa evocare o richiamare alla cannabis?
Mentre ovunque per le strade vediamo pubblicità di “spritz” ed “happy hour”?
Com’è possibile che anche la dove la cannabis fosse stata legalizzata, “leggi federali” impediscano agli istituti bancari di processare pagamenti tramite VISA, MASTERCARD o anche PayPal nel commercio o nella gestione aziendale di industrie che coinvolgono la canapa?
Perché un e-commerce gestito in piena legalità, che ha un elevato costo di manutenzione e che aiuta l’esercente a pagare il proprio affitto così come le tasse, non può accettare pagamenti diretti online se risulta come “cannabis shop”?
Sembra quasi che qualcuno sfrutti il sistema di illegalità di un prodotto tanto semplice per giustificare l’enorme spesa statale per la “sicurezza interna” ed il mantenimento delle carceri.
Vorremmo ricordare che persino Brasile e Sud Africa sono arrivati a decriminalizzare la cannabis per alleggerire il sistema giudiziario…
In conclusione, sembra essere difficile trovare un valido motivo per cui tutta questa demonizzazione di una piantina abbia avuto luogo, se non quello di peggiorare sistematicamente le condizioni di vita dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda, a meno che uno non abbia il controllo del sistema sanitario, giudiziale e di polizia.
In quel caso, seguendo le basi economiche di ogni industria economicamente quantificabile, ciò che si sarebbe creato sarebbe un infinito approvvigionamento di risorse umane per mantenere questi sistemi, queste “aziende”, vive anche se fallimentari, in perdita e così tanto in debito da dare la colpa all’individuo che non volesse farne parte.
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